Vi siete mai chiesti come mai, nonostante le innumerevoli teorie e tecniche di traduzione, rimanga sempre un solco di intraducibilità tra le lingue? Se ci pensate, è proprio in questa impronta oscura dove nasce la creatività di persone e culture che determina l’unicità delle scelte traduttive.
Perciò, voglio riportarvi alcuni esempi di parole intraducibili, tratti dal libro Lost In Translation di Ella Frances Sanders:
● Mångata, che in norvegese indica “la scia luminosa della luna che si riflette sull’acqua”.
● Samar, una parola araba meravigliosa che significa restare in piedi fino a notte inoltrata, mentre si ascoltano racconti e parole, le quali si disperdono nel vento.
● Gezelligheid, il termine norvegese che delinea quello stato d’animo di calore e intimità che si prova stando con i propri cari.
● Meraki in greco fa riferimento al mettere tutti sé stessi in qualcosa, con passione, creatività e amore.
● Kilig in tagalog descrive quella sensazione di farfalle nello stomaco in un contesto romantico.
● Fika, uno strano termine svedese, appartiene al contesto in cui ci si trova per fare due chiacchiere con una tazza di caffè tra le mani e si finisce a parlare anche per ore.
● Hiraeth in gallese significa provare nostalgia per un luogo in cui si è stati in passato, oppure solo nei propri pensieri, e in cui non si può tornare.
● Komorebi, deriva dal giapponese e descrive perfettamente “la luce del sole che filtra tra le foglie degli alberi”.
● Kummerspeck è una divertente parola tedesca che fa riferimento ai chili che si prendono quando si mangia troppo per lo stress.
● Boketto in giapponese si ha proprio quando si fa vagare lo sguardo nel vuoto senza pensare a nulla.
● Vacilar è un verbo spagnolo che descrive forse ciò che accomuna la maggior parte di noi linguisti, ovvero “viaggiare per il gusto di farlo più che per la meta”.
● Ubuntu è una meravigliosa filosofia africana che essenzialmente descrive l’indivisibilità tra essere umani: “io posso essere io solo attraverso di voi e con voi”.
● Il giapponese torna a stupirci con wabi sabi, che indica la bellezza dello scorrere delle cose, dell’imperfezione e della transitorietà.
È con la traduzione e il confronto tra culture che impariamo a dare valore alla nostra identità, conosciamo nuovi aspetti di noi, assumiamo altri modi di vivere e filosofie di pensiero, in poche parole: ci evolviamo.
Concludo questa riflessione con una citazione del manuale di traduttologia forse più conosciuto, Il manuale del traduttore di Bruno Osimo: “Come un fiume scorrendo disperde parte del proprio contenuto nel terreno, e assorbe nuovo contenuto dagli affluenti e dall’ambiente, così un testo venendo comunicato si muta, si evolve, accumula sensi nuovi e ne perde di vecchi. La traduzione è evoluzione del senso.”
E tu, come ti comporti di fronte a parole intraducibili?
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